Nuotatori esperti hanno sfidato con successo il mare aperto, ma non riescono a riguadagnare l’approdo sicuro sulla spiaggia. I vortici, il risucchio della marea è irresistibile e trascina con sé al largo i campioni, mentre i più giovani, inesperti ma veloci, guizzano via dalla corrente contraria. Una storia, una metafora, scelta da tre studiosi del Shorenstein Center on the Press, Politics and Public Policy dell’Harvard Kennedy School per rappresentare la situazione nel business dei media, segnata dalla «epica collisione» tra giornalismo e tecnologia digitale. Piattaforme nate in galassie diverse da quella del giornalismo sono oggi dirompenti nel business delle notizie. Così nelle redazioni proiettate nel futuro gli ingegneri siedono accanto ai giornalisti multimediali.
Riptide, letteralmente “corrente di risucchio”, è un progetto condotto da John Huey, ex direttore di Time Inc, Martin Nisenholtz, consulente di The New York Times Company dopo averne guidato l’avventura nel digitale, e Paul Sagan, vicepresidente di Akamai Technologies. Consiste in 70 videointerviste, di cui solo una, quella ad Arianna Huffington, priva di filmato per richiesta dell’intervistata. Manager, editori, studiosi, giornalisti e innovatori hanno affrontato l’interrogativo: “Che succede al vostro business?”. Nel sito digitalriptide.org il risultato: 50 ore di testimonianze e un saggio. Il progetto non si ferma qui, affermano gli autori presentandolo ad Harvard, ma si arricchirà di nuovi spunti e interviste. Il panorama cambia, infatti. Basti pensare che mentre questa prima edizione di chiudeva, The Boston Globe e Washington Post si accingevano a cambiare proprietà.
Dopo aver indagato su fatti e protagonisti, gli autori di Riptide si dichiarano ottimisti sul futuro del giornalismo ed esortano: «Non siate nostalgici». L’editore del The New York Times, Arthur Sulzberger Jr., non lo sembra affatto e intervenendo all’evento Riptide, lunedì 9 settembre 2013 alla Kennedy School, conferma alcune convinzioni maturate sfidando le correnti della competizione nell’era del digitale. La prossima mossa sarà il riposizionamento dell’International Herald Tribune, che da ottobre riprenderà la storica denominazione International New York Times. I numeri raccontano un’editoria in crisi? Sulzberger guarda alla metà piena del bicchiere e alle opportunità future: «Quello che ci aspetta è più grande sia in termini di persone raggiunte che di impatto – assicura l’erede della dinastia di editori newyorchesi – l’importante è essere autorevoli ed accurati. Autorevolezza significa anche avere persone sul campo, la necessità di mantenere uffici in ogni parte del mondo non è cambiata» con l’avvento del digitale, dichiara sottolineando un vantaggio competitivo del proprio giornale.
Se il pubblico delle news non è mai stato così vasto, gli utili degli editori non sono mai stati così incerti. Ma Sulzberger è ottimista e alla domanda «i giovani sono disposti a pagare le news?» risponde: «Grazie a Steve Jobs tutti, i ragazzi ma non solo, stanno diventando più propensi a pagare per fruire di prodotti online, purché siano di qualità». E il valore del prodotto giornalistico nell’ambiente digitale si misura anche nell’esperienza del lettore, che deve essere differente, multimediale, nuova. «Abbiamo bisogno di ingegneri informatici per creare i nostri prodotti, per costruire l’esperienza. Snowfall (ne parlai qui, ndr) è un esempio di giornalismo scritto, nel formato lungo, nell’era in cui tutto è diretta e video. E’ un’esperienza potente. E’ proprio l’integrazione dei media che porta al successo».
All’Huffington Post, aggiunge il CEO della proprietà AOL Tim Armstrong, gli ingegneri lavorano accanto ai giornalisti, ai quali è richiesta la conoscenza della piattaforma. Il suggerimento agli aspiranti giornalisti è quindi quello di prendere confidenza con gli strumenti digitali e abituarsi al lavoro di squadra con gli esperti informatici. Armstrong richiama l’attenzione anche su un’altra creatura di AOL, Patch, piattaforma che è «il più grande investimento sul giornalismo locale» dove chi scrive vive e conosce la comunità e ciò fa la differenza. Location, location, location è una fissazione che paga, aggiungo io. Una versione aggiornata del romantico “consumare suole”, oggi pratica da “atipici”, che potrebbe tornare di moda su su fino ai top manager.
Pubblicare news prima online e poi sul cartaceo (con conseguente picco dei lettori del NYT online tra le 20 e le 22, curiosi su cosa ci sarà in edicola l’indomani) e l’uso di Twitter come strumento per raccogliere e distribuire informazione sono altri due fattori chiave per il successo, secondo Sulzberger.
In fondo, i miei due centesimi per la discussione, sottoforma di domande. Quelle che porrei ai manager dei giornali italiani, qualora condividessero le loro idee sui media come i colleghi statunitensi, sarebbero: Quanti ingegneri e sviluppatori ci sono nelle vostre redazioni? Che ruolo hanno? Lavorano con i giornalisti? E se sì, che lingua parlano? Quali nuove esperienze di giornalismo digitale stanno creando?
Poi ragionerei con loro sul percorso della notizia dalla provincia, dove inevitabilmente le cose succedono, al giornale nazionale, dove non sempre le notizie arrivano. E se arrivano, probabilmente sono ri-elaborate e ri-scritte dai giornalisti del nazionale, magari svilendo il collega di provincia (stesso gruppo editoriale, altra vita) che su quel filone lavorava da mesi. L’autorevolezza non passa forse anche attraverso innovazioni di questi processi? La notiziabilità non dovrebbe sempre corrispondere alla qualità del prodotto finale?
Infine, un appunto sul quale tornare tra un po’ e altre domande, ancora per i manager. Non mi aspetto che l’effetto-Bezos irrompa a breve, ma tra qualche anno probabilmente ci chiederemo come abbia fatto a cambiare il giornalismo internazionale partendo dal Washington Post. Almeno quanto meravigliava l’escalation della sua Amazon da libreria sperimentale a negozio digitale su scala mondiale. Intanto, The New York Times dichiara che giocherà la partita a livello globale: cercherà ovunque i suoi nuovi lettori. L’Huffington Post ha già posizionato le sue truppe senza sottotitoli, direttamente in italiano, francese, eccetera, per difendere la leadership nei social network. Questo per dire che l’Italia, confusa e compresa nel mercato globale delle news, è già terreno di conquista. Come pensano di difendersi i nostri? Come risaliranno la corrente? Collaborando come fa Repubblica con Huffington? Investendo su locale di qualità, esperienze potenti, ingegneri, digital first, paywall e altro vocabolario che a New York masticano già da un po’ (scelta consigliata)?
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